La storia di Ettore, volontario
Mi chiamo Ettore e sono volontario AIL da 15 anni.
Ho avuto la fortuna di andare in pensione a 55 anni. Che sia stata una fortuna lo dico oggi però, perché aver avuto così tanto tempo mi ha permesso di intraprendere il percorso da volontario.
Storie di chi sostiene
Ma 15 anni fa non fui proprio così felice di trovarmi all’improvviso senza far nulla.
In quei giorni mi guardai attorno: avevo una bella famiglia, non avevo mai avuto grandi problemi di salute, eh si, era arrivato il momento di fare qualcosa per gli altri. Dopo tutto il bene che avevo ricevuto, era il mio turno per “dare”.
Fu così che, come volontario AIL, iniziai a frequentare il reparto di ematologia di Cuneo.
Ho capito subito come funzionava e come potevo rendermi utile: bastano pochi secondi per capire se il paziente vuole dialogare con te, se vuole calpestare il tuo stesso terreno e intavolare una conversazione.
Nella maggior parte dei casi parliamo di persone che fino al giorno prima avevano una vita normale e che ora invece sono catapultati a letto, in vestaglia, a parlare con uno sconosciuto.
Confrontarsi con gli ammalati significa conoscere e vivere insieme la loro storia. C’è chi ha avuto una vita piena di problemi e vede nella malattia il naturale epilogo di tanta sofferenza. Chi invece ha vissuto fino a quel momento senza mai incontrare grandi ostacoli e di fronte alla malattia è spaesato e non sa come affrontarla. In entrambi questi casi, comunque, tu non puoi fare altro che stringere loro la mano e sperare che vada tutto per il meglio.
Il legame che si crea è indissolubile, ci sono ex-pazienti che dopo anni ancora mi cercano, come una ragazza di Materna, che venne qui a Cuneo a curarsi con la mamma. Non passa Natale senza che mi chiami per farmi gli auguri. Ecco, questo è il miglior riconoscimento che io possa avere e la sensazione che mi da, mi riempie il cuore.
Il mio giorno in reparto è il lunedì. Quando mi congedo, saluto sempre tutti con la speranza e l’augurio di incontrarci nuovamente la settimana ventura.
A volte però non succede, perché la leucemia è una malattia bastarda! Si proprio così, ed è per questo che dobbiamo fare in modo che la ricerca vada avanti, senza mai dimenticare la sofferenza che abbiamo incontrato sul nostro cammino.