Sindromi mielodisplastiche (SMD)
Le sindromi mielodisplastiche (SMD) rappresentano un insieme di malattie originate dalla progressiva perdita di capacità di normale maturazione delle cellule della linea mieloide, che porta dunque a una riduzione del numero di globuli rossi, bianchi e/o e piastrine di gravità variabile, e a un’alterazione del loro normale funzionamento.
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Generalità
In una porzione rilevante di casi la malattia potrebbe ulteriormente evolvere e trasformarsi in una leucemia mieloide acuta (LMA). Tuttavia, il rischio di evoluzione è molto diverso in base al sottotipo di malattia, e vi sono forme con andamento destramente lento a bassissima probabilità di trasformazione.
D’altra parte, l’evoluzione della malattia può essere acuta, con un rapido deterioramento dei parametri clinici, o subdola, con un modesto peggioramento dei sintomi già esistenti.
Incidenza
Le SMD hanno un’incidenza annuale stimata che si aggira sui 5 casi ogni 100.000 persone. Sono tipiche dell’età avanzata: rare prima dei 50 anni, l’età media alla diagnosi si aggira sui 70 anni.
Fattori di rischio
Le SMD non hanno molto spesso una causa evidente. Sappiamo che l’esposizione al benzene, a prodotti chimici con potenzialità genotossica, al fumo, sono fattori di rischio correlati alla malattia. E sappiamo anche che l’esposizione a farmaci chemioterapici o radiazioni ionizzanti può favorire l’insorgenza della malattia, anche a distanza di anni.
Negli ultimi anni sono emerse poi delle forme familiari, che rappresentano comunque una percentuale bassa dei casi e che si associano a particolari mutazioni genetiche. Queste vanno considerate soprattutto, anche se non esclusivamente, nei pazienti che sviluppano la malattia in giovane età.
Diagnosi
Le SMD sono state storicamente suddivise in 5 gruppi di malattia, seguendo la classificazione FAB - French-American-British, basata sui valori di emocromo e sul numero di “blasti”, le cellule più immature, nel midollo osseo e nel sangue periferico.
La complessità delle SMD ha comunque richiesto un nuovo tentativo di classificazione, effettuata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che inserendo anche le conoscenze acquisite sulla genetica della malattia ha portato a 8 le classi totali della malattia.
Si tratta di malattie con un’insorgenza che può non essere immediatamente evidente. In genere l’attenzione del medico viene sollecitata a seguito della rilevazione di uno stato di anemia, che può essere asintomatico per un tempo dipendente dalla velocità con cui la malattia si espande e la capacità di adattamento dell’organismo alla diminuzione di emoglobina. Oltre allo stato di anemia, alla diagnosi possono essere evidenti anche neutropenia, con rischio di infezioni, e piastrinopenia, che se grave si può presentare con manifestazioni emorragiche cutanee (petecchie, ecchimosi o ematomi).Per la diagnosi, accanto alla valutazione dell’emocromo si effettua la valutazione dello striscio di sangue periferico, che consente di evidenziare la presenza di eventuali cellule immature circolanti e di anomali nell’aspetto di globuli bianchi rossi e piastrine. È poi fondamentale la valutazione morfologica dell’aspirato midollare, che consente di stabilire la diagnosi definitiva attraverso la dimostrazione delle anomalie nell’aspetto dei precursori delle cellule del sangue (displasia) e il conteggio del numero di blasti, fondamentale per la classificazione, la prognosi e poi per la terapia, così come lo studio citogenetico.
Da ricordare che le SMD sono caratterizzate da numerose alterazioni morfologiche e biologico molecolari delle cellule come eritrociti, leucociti e piastrine.
Prognosi
A causa delle numerose variabili che caratterizzano la malattia, non è semplice prevedere il tipo di decorso clinico, che è estremamente eterogeneo. Grazie a studi su un numero di pazienti molto elevato, sono state sviluppate scale di valutazione del rischio che prendono in considerazione diversi parametri clinico-biologici.
Il sistema di classificazione più utilizzato è chiamato R-IPSS (Revised International Prognostic Scoring System), e suddivide i pazienti in 5 gruppi di rischio sulla base della gravità delle citopenie (piastrinopenia, anemia e neutropenia), il numero dei blasti e le anomalie citogenetiche. I cinque gruppi hanno un andamento molto diverso fra di loro e beneficiano di trattamenti distinti.
Più recentemente, la scoperta di mutazioni in numerosi geni grazie a moderne tecniche di biologica molecolare ha consentito di meglio definire categorie a basso rischio, come quelle con mutazione di SF3B1, o a rischio più elevato, come quelle con mutazione del gene TP53.
Terapie
La strategia terapeutica viene decisa essenzialmente sulla base dell’età del paziente, del suo stato di salute generale, della presenza di concomitanti malattie e in relazione al rischio prognostico determinato dalle scale di valutazione, soprattutto l’R-IPSS.
Nei pazienti a rischio basso-intermedio la terapia, in caso di valori dell’emocromo ancora buoni, può limitarsi all’osservazione periodica del paziente, oppure può richiedere l’uso di fattori di crescita, specie l’eritropoietina ricombinante per i soggetti anemici. Il supporto trasfusionale rimane fondamentale nei pazienti anemici non responsivi ad eritropoietina e nei pazienti severamente piastrinopenici, per i quali non sono approvate terapie molto efficaci.
Nei pazienti con un particolare tipo di SMD a basso rischio che presentano alterazioni del braccio lungo del cromosoma 5 (5q-) e con anemia non responsiva ad eritropoietina, si è dimostrato molto efficace il trattamento con lenalidomide, un farmaco immunomodulante con un’azione specifica per questa anomalia.
Nei pazienti a rischio alto la terapia standard è rappresentata dall’azacitidina, un agente in grado di favorire la differenziazione delle cellule della malattia ed ha dimostrato un miglioramento della sopravvivenzaNelle SMD l’unica terapia potenzialmente guaritiva rimane il trapianto di cellule staminali ma viste le tossicità potenzialmente severe è riservato a pazienti relativamente giovani e con rischio di malattia intermedio-alto. Per ridurre il numero dei blasti nel midollo, in alcuni casi prima del trapianto viene utilizzato un trattamento con chemioterapia intensiva oppure con azacitidina.
Nuovi farmaci
Per i pazienti a basso rischio con anemia non responsiva ad eritropoietina e con determinate caratteristiche, come la presenza di cellule dette “sideroblasti ad anello”, è stato studiato il luspatercept, farmaco con un innovativo meccanismo d’azione in grado di migliorare la maturazione dei precursori dei globuli rossi, che dovrebbe essere presto disponibile.
Per i pazienti con piastrinopenia è invece in studio l’eltrombopag, farmaco in grado di stimolare la crescita dei precursori delle piastrine.
Infine, in alcuni casi una formulazione orale dell’azacitidina ha dimostrato di essere in grado di migliorare anemia e piastrinopenia. Entrambi i farmaci non sono al momento approvati per tale indicazione.
Nei pazienti a rischio alto, gli sforzi sono oggi concentrati nel migliorare i risultati ottenuti con l’azacitidina, e numerosi farmaci sono in sperimentazione in combinazione con essa.
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