La trasfusione di emoderivati
La storia della trasfusione inizia nel 1600 con la scoperta della circolazione del sangue.
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Generale
La storia della trasfusione inizia nel 1600 con la scoperta della circolazione del sangue. Solo sette anni dopo fu tentata la prima trasfusione di sangue animale all’uomo, ma poi venne proibita per legge per gli insuccessi che derivarono. Solo con la scoperta dei gruppi sanguigni, nel 1900, grazie a Karl Landsteiner, inizia una nuova era della trasfusione e viene introdotto il concetto di compatibilità tra il donatore e il ricevente. Nel primo decennio del 1900 viene inoltre scoperto che il sangue può essere raccolto e mantenuto a contatto con sostanze anticoagulanti per poi essere riutilizzato anche alcuni giorni dopo la raccolta. Questo trasforma la trasfusione da diretta tra donatore e ricevente (braccio-braccio) a indiretta. La compatibilità, che è essenziale nelle trasfusioni di emazie e di plasma, viene valutata attraverso il sistema ABO e il sistema Rh (rhesus), tipi di molecole presenti sui globuli rossi e che definiscono i gruppi sanguigni (ad esempio A Rh+, B Rh- ecc.). In generale, i pazienti con gruppo 0 possono ricevere emazie solo da donatori 0, mentre i donatori 0 possono donare emazie a tutti. I pazienti Rh- possono ricevere solo da donatori Rh-, mentre i positivi da entrambi. Per questo i donatori 0-negtivi sono detti donatori universali, mentre i pazienti con gruppo AB+ possono ricevere emazie da tutti i gruppi sanguigni. La trasfusione ha degli scopi principali:
correggere un deficit di un componente del sangue o di una frazione proteica;
sostituire completamente il plasma (scambio plasmatico o plasma exchange) o cellule anomale (citoaferesi) o il sangue (exsanguinotrasfusione);
correggere uno squilibrio volemico, ossia compensare una perdita importante di sangue, di solito in seguito a emorragie.
Quali sono i diversi tipi di trasfusione?
Trasfusioni di emazie (o eritrociti) concentrate. Le emazie vengono separate dal resto del sangue (plasma, piastrine e globuli bianchi) e concentrate per poter poi essere trasfuse. Trovano indicazioni nella correzione dell’anemia di qualsiasi natura, per elevare il tasso di emoglobina e per apportare ossigeno ai tessuti. In generale, ogni trasfusione aumenta di circa 1 g/dl l’emoglobina del paziente. Si usa come parametro per l’indicazione alla trasfusione il valore dell’emoglobina, che in generale non deve essere al di sotto degli 8 g/dl. In alcuni casi la soglia trasfusionale può essere leggermente diversa, in base al contesto clinico e alle caratteristiche del paziente. Nel caso di un regime trasfusionale cronico, si deve tenere in considerazione la terapia ferrochelante (sottrazione di ferro all’organismo) per evitarne l’accumulo a livello dei vari organi. Le emazie concentrate possono subire diverse lavorazioni:
Oggi nella quasi totalità dei casi il prodotto viene filtrato, per rimuovere i globuli bianchi residui, riducendo l’immunizzazione e i rischi di reazioni trasfusionale.
Nei pazienti con patologie ematologiche, in particolare dopo trapianto di midollo o in caso di trattamenti con farmaci fortemente immunosoppressori, le emazie vengono anche irradiate, per inattivare i linfociti residui nel prodotto che potrebbero essere pericolosi in questa categoria di pazienti.
Le emazie vengono lavate in quei pazienti che hanno avuto reazioni alle trasfusioni di emazie standard, di solito per grave intolleranza ad alcune componenti del plasma che così vengono rimosse.
Trasfusione di piastrine. Possono essere usate in maniera terapeutica se il paziente presenta emorragie cutanee o mucose ed è affetto da piastrinopenia o piastrinopatia. Inoltre, sono utilizzate in maniera preventiva, se il livello delle piastrine del paziente è inferiore alle 10-30.000/mm3, in base rischio di emorragia. Possono poi essere utilizzate prima di interventi chirurgici in pazienti piastrinopenici per ridurre il rischio di sanguinamento. La quantità da trasfondere dipende dal peso del paziente e dalla resa che si vuole ottenere. Non sono indispensabili prove di compatibilità, sebbene un prodotto compatibile ABO e Rh sia in generale preferito, e possono essere trasfuse quelle di singoli donatori ottenute per sedute di piastrinoaferesi o da donatori multipli.
Trasfusione di plasma. Esso viene ottenuto fresco dalla separazione dei globuli rossi o da singolo donatore per plasmaferesi. Viene congelato a -20 °C e trova indicazione nelle sindromi emorragiche con deficit di fattori multipli, come nelle gravi epatopatie o nelle coagulopatie da consumo, come o in alcuni tipi di leucemie acute. In alcuni casi, come nella porpora trombotica trombocitopenica, viene utilizzato il plasma exchange: viene rimosso il plasma del paziente per eliminare gli anticorpi alla base della patologia e sostituito con quello dei donatori per supplementare il paziente con l’enzima danneggiato.
Trasfusione di sangue in toto. Si usa raramente solo nel caso in cui bisogna correggere rapidamente uno squilibrio volemico (perdita di sangue, ecc.) come se si ha uno shock emorragico. Si deve monitorizzare attentamente il paziente per il rischio di sovraccarichi e si usa solo se la perdita emorragica è superiore al 20-25%.
Trasfusione di globuli bianchi. Si usa oggi assai raramente. Il donatore deve essere compatibile per il sistema ABO-Rh e HLA e va ricercato tra i familiari del paziente. L’indicazione è quella di una grave sepsi non rispondente alle comuni terapie antibiotiche, in un soggetto in aplasia midollare che si ritiene non possa migliorare nelle prossime 48 ore.
Il rischio trasfusionale
La trasfusione di sangue o di un suo componente può costituire un rischio per il ricevente, sebbene oggi essi siano estremamente ridotti grazie alle moderne tecniche di preparazione degli emocomponenti e della selezione del donatore.
Si distinguono rischi immediati e rischi tardivi.
Fra i rischi immediati si ricordano le reazioni immunologiche con brivido e febbre, le reazioni orticarioidi e allergiche. Tra le reazioni non immunologiche gravi si ricorda la possibilità di contaminazione batterica (molto rara) e conseguente infezione potenzialmente severa.
Tra gli effetti ritardati vi sono ugualmente fenomeni immunologici, soprattutto il rischio di immunizzazione verso alcuni componenti del sangue del donatore, con conseguente ridotto rendimento delle successive trasfusioni.
Fra gli altri rischi potenziali si deve ricordare la teorica possibilità che la trasfusione sia il veicolo di trasmissione di malattie virali con il rischio di contagio per l’epatite, la sindrome da immunodeficienza acquisita o altre malattie virali come il citomegalovirus. Con le attuali metodiche di screening su donatori e prodotti da trasfondere, il rischio è oggi infinitesimale.
Per via delle trasfusioni ripetute si può instaurare poi una situazione di emosiderosi secondaria, cioè un accumulo di ferro in alcuni organi, come il cuore, il fegato e il pancreas.
In questi casi esistono farmaci in grado di rimuovere il ferro in eccesso, detti chelanti del ferro.
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